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Songs of Experience degli U2: la nostra recensione

Inserito da on dicembre 1 – 10:28 | 5.072 visite

Cover Songs Of Experience, Photo by © Anton Corbijn

Introduzione.

 Hear the voice of the Bard!
Who present, past, and future sees!
Whose ears have heard
The Holy Word
That walk’d among the ancient trees;

Calling the lapsed Soul,
And weeping in the evening dew;
That might controll
The starry pole,
And fallen fallen light renew!

O Earth, O Earth, return!
Arise from out the dewy grass!
Night is worn,
And the morn
Rises from the slumberous mass.

Turn away no more;
Why wilt thou turn away?
The starry floor,
The watry shore,
Is given thee till the break of day.”

(William BlakeIntroduction to Songs of Experience)

William Blake apriva così il suo secondo libro, Songs of Experience, nel 1794.

– Songs Of Experience: gli U2 del futuro.

Il destino del singolo uomo e quello del mondo si incontrano nel cammino iniziato nel 2014 con Songs of Innocence.
Gli U2 ci aprono di nuovo il loro cuore in Songs of Experience, perché questo album riesce ad essere ancora più profondo e complesso del suo predecessore nonostante sia musicalmente più immediato.
È un album in cui ci sono l’amore, la morte, la malinconia, la rassegnazione, la solitudine, la nostalgia e la speranza e le troviamo in quest’ordine.
La band ha ritrovato quello spirito compositivo che aveva ai tempi della colonna sonora di Million Dollar Hotel, e quella voglia di sperimentare un certo tipo di arrangiamento propria di No Line On The Horizon (che poi sappiamo aver preso una strada opposta in più di un caso) almeno nella sua idea iniziale, unendo il tutto alla freschezza di Songs of Innocence. Il risultato è un album prodotto e arrangiato in maniera molto elegante e ricercata.
Songs of Experience è composto da una serie di canzoni che somigliano ad una serie di lettere che Bono ha voluto scrivere, come se fossero le ultime ad uscire dalla sua penna prima di morire. Infatti, la band in recenti interviste, ha dichiarato che le canzoni dell’album sono state riviste a seguito di “un grande spavento” che avrebbe riguardato la salute di Bono (molto probabilmente nel 2016). Tutto ciò ha influenzato la stesura definitiva di Songs of Experience da parte del leader degli U2.
Iniziamo questo viaggio lungo, meditativo e doloroso, che Bono e gli U2 hanno compiuto per il loro quattordicesimo album in studio.

– Love Is All We Have Left | Produzione di: Andy Barlow

L’album si apre con un maestoso pezzo ambient che sembra uscito dalla mente di Brian Eno. Questa canzone serve ad impostare l’atmosfera di tutto l’album e a fornirci subito una prima chiave di lettura. Il mondo sembra andare in pezzi e l’unica cosa rimasta è, per fortuna, l’amore.
Può sembrare banale e scontato ma non è assolutamente così.
Il testo può essere interpretato anche come un dialogo di Bono con sé stesso, oltre che con la persona amata, perché si accorge che l’amore è l’unica cosa rimasta ma forse non riesce ad accettarlo neanche lui.
La seconda strofa viene cantata da Bono con l’auto tune per dare l’effetto di una seconda voce, evocativa è l’immagine del telescopio: “Now you’re at the other end of the telescope Seven billion stars in her eyes So many stars So many ways of seeing”
Questo sottolinea una distanza enorme – sette miliardi di stelle – tra ieri ed oggi.

Lights Of Home | Produzione di: Jacknife LeeRyan TedderBrent Kutzle Produzione aggiuntiva di: Jolyon Thomas

Il secondo pezzo dell’album si apre con il riff di My Song 5 delle HAIM (presenti anche nei cori) e troviamo una batteria molto anni ’70 da parte di Larry, con i cori finali che richiamano i Beatles ed un bel solo di Edge.
Proprio i cori finali sono fondamentali perché si riagganciano direttamente ad Iris (Hold me close) di Songs of Innocence.
Vedremo che Bono in questo album procederà esattamente come Blake nei suoi canti, agganciandosi direttamente a canzoni dell’album precedente o sviluppando temi nuovi.
Il testo di questa canzone è diretto come un pugno nello stomaco. Di recente siamo venuti a sapere che Bono nel 2016 ha avuto “un grande spavento” e ha avuto paura di morire.
Questa canzone ne è la testimonianza diretta.
“I shouldn’t be here ‘cause I should be dead I can see the lights in front of me […] Oh Jesus If I’m still your friend What the hell, what the hell you got for me”. La prima linea è pesante e diretta ed inoltre vediamo come Bono si rivolga direttamente a Gesù; proprio come faceva in Pop esattamente vent’anni fa.
“One more push and I’ll be born again One more road you can’t travel with a friend”. Sembra che si parli di una nascita ma a guardare bene la (ri)nascita potrebbe essere intesa come la morte e all’improvviso le luci di casa. “In your eyes I see it In your eyes alone I see the light of home”   potrebbero benissimo essere le luci dell’aldilà dove il nostro Paul ritroverebbe sua madre Iris.
“Something in your eyes took a thousand years”“In your eyes I see it The lights of home”.
Morire ricongiungerebbe Bono con la sua amata madre, ma quanto grande sarebbe il dolore arrecato a coloro che piangerebbero per il cantante degli U2?
Il primo pensiero è per Alison.

– You’re The Best Thing About Me | Produzione di: Jacknife Lee, Ryan Tedder, Steve Lillywhite e Brent Kutzle

La terza traccia di questo album la conosciamo benissimo, essendo stata rilasciata come primo singolo.
Bono ha scritto il testo quando ha sognato di perdere sua moglie Ali.
Una lunga analisi di questa canzone è stata già fatta qui: You’re The Best Thing About Me: prime impressioni; segnalo volentieri un’interpretazione differente fornita da U2 Breathe.

Get Out Of Your Own Way | Produzione di: Ryan Tedder, Steve Lillywhite, Brent Kutzle e Jolyon Thomas Produzione aggiuntiva di: Jacknife Lee

Il quarto brano di questo album ha una doppia chiave di lettura, poiché può essere interpretato sia come una lettera di Bono alle figlie ma soprattutto come una lettera agli americani.
Anche in questo caso ho fatto un’analisi del pezzo alla sua release e la trovate qui Get Out Of Your Own Way: prime impressioni .

Dall’Irlanda è il momento di spostarci in America. Se questa è una lettera per gli americani, la canzone seguente in Songs of Experience è una lettera per l’America.
E le due canzoni sono unite da un passo, modificato, del Vangelo secondo Matteo recitato da Kendrick Lamar.

“Blessed are the arrogant for theirs is the kingdom of their own company
Blessed are the superstars for in the magnificence of their light we understand better our own insignificance
Blessed are the filthy rich for you can only truly own what you give away… like your pain”

– American Soul | Produzione di: Jacknife Lee Produzione aggiuntiva di: Jolyon Thomas e Declan Gaffney

“Blessed are the bullies for one day they’ll have to stand up to themselves
Blessed are the liars for the truth can be awkward”

La quinta traccia di Songs Of Experience è uno dei pezzi più politici dell’album e presenta un riff di chitarra molto grezzo, che unito alla sezione ritmica di Larry e Adam, regala un feeling alla Queens of the Stone Age. Il tutto contribuisce ad una bella atmosfera rock e anche in questo caso, specialmente nei ritornelli, la batteria di Larry continua a suonare molto anni ’70.
“It’s not a place This country is to me a sound Of drum and bass You close your eyes to look around” prima di incalzare, riprendendo Volcano, “You are rock and roll You and I are rock and roll”.
Bono introduce anche i temi dell’accoglienza e dell’integrazione, creando un ponte per la canzone successiva.

Dall’America ora ci spostiamo in Medio Oriente, passando per il Mediterraneo.

Photo by © Anton Corbijn

Summer Of Love | Produzione di: Ryan Tedder e Brent Kutzle Produzione aggiuntiva di Jacknife Lee

Cambio di sound repentino per la sesta traccia di Songs Of Experience.
La canzone ha uno spiccato mood da fine anni ’90 con il suo riff di chitarra dolce e splendido, e le atmosfere orientaleggianti a cui contribuisce anche Lady Gaga con i suoi cori. La chitarra con shimmer e la potente sezione di archi alla fine creano un’atmosfera maestosa nel finale.

“I’ve been thinking ‘bout the West Coast Not the one that everyone knows We’re sick of living in the shadows We’ve one more chance before the light goes For a summer of love”.

La Costa Ovest è il Mediterraneo in questo caso perché la canzone parla della situazione tremenda che sta vivendo il popolo siriano.
In the rubble of Aleppo Flowers blooming in the shadows”, nonostante tutto tra le macerie di Aleppo c’è ancora vita che fiorisce nell’oscurità di quel “buco nero” che purtroppo è oggi la Siria.

Red Flag Day | Produzione di: Ryan Tedder, Steve Lillywhite, Brent Kutzle e Andy Barlow

La settima traccia presenta un sound nostalgico anni ’80 che ricorda forse i The Clash, nell’attacco della canzone dove la batteria di Larry suona ancora una volta pienamente retrò insieme ad una gran linea di basso di Adam.
L’atmosfera che ne risulta è incredibile, cosa che vale anche per la canzone precedente.
Il filo rosso che lega le due canzoni sono le vita umane dei rifugiati che in un giorno da “allarme rosso” decidono comunque di prendere il largo e viaggiare in un mare che sa essere crudele, pur di fuggire dagli orrori di quella guerra.
“Baby it’s a reg flag day but baby let’s get in the water Taken out by a wave Where we’ve never been before” si cerca un approdo su una nuova terra, e per fare questo non si può permettere alle proprie paure di vincere: “Today we can’t afford to be afraid of what we fear”.
Il ritornello ha un sound incredibile con i suoi cori, ed offre una grande ricchezza di sfumature, sottolineando un gran lavoro della band nella fase strumentale.
L’urlo di disperazione di Bono è lo stesso del Mar Mediterraneo, che ogni giorno si tinge sempre più del sangue di tanti – troppi – rifugiati.

“Not even news today So many lost in the sea last night The one word that the sea can’t say Is no, no, no, no…”

The Showman (Little More Better) | Produzione di: Ryan Tedder e Steve Lillywhite Produzione aggiuntiva di: Jacknife Lee

Altro cambio repentino di sound. L’ottava traccia di questo album ha di nuovo echi beatlesiani con il suo ritmo tutto da ballare, in pieno stile anni ’60.
Questa è la lettera che Bono ha scritto per sè stesso rivolgendosi ai fan: è ironico con un pizzico di autocritica.
“Baby’s crying ‘cause it’s born to sing Singers cry about everything Still in the playground falling off a swing But you know that I know” e ancora “It is what is it but it’s not what it seems This screwed up stuff is the stuff of dreams I got just enough low self esteem To get me where I want to go”.
Il ritornello di pura allegria è già pronto a farci ballare tutti  nel prossimo eXPERIENCE + iNNOCENCE Tour!

Dalla prossima traccia in poi, fino alla fine, c’è un nuovo cambio di atmosfera. Questo testimonia ulteriormente quanto sia eterogeneo questo album e quanto riesca a suonare, contemporaneamente, coeso e solido.
Dal Medio Oriente si torna in Irlanda e da qui in poi ci dobbiamo preparare a commuoverci…

The Little Things That Give You Away | Produzione di: Jolyon Thomas Produzione aggiuntiva di: Andy Barlow

Nei piani iniziali della band questo doveva essere il brano di chiusura dell’album ma qualcosa ha fatto cambiare loro idea.
La nona traccia di Songs of Experience è il suono di una mattina d’inverno dopo una notte di pioggia, ed è una mattina piena di nebbia.
La canzone ci è stata già presentata nel recente The Joshua Tree Tour 2017 dove ha mostrato un potenziale enorme.
Nella versione album però troviamo un arrangiamento elegante e toccante dove, sin dall’inizio, spicca un The Edge ispirato più che mai che ci avvolge con le sue linee di chitarra.
Il pezzo è fondamentale per capire questo album perché Bono si mette a nudo mostrando le sue paure ed i suoi dubbi, ma sopratutto ci annuncia che la sua innocenza è morta, forse del tutto.

“Sometimes I can’t believe my existence See myself from a distance I can’t get back inside Sometimes the air is so anxious All my thoughts are so reckless And all of my innocence has died”.

È molto più di una semplice ammissione.
Sono le piccole cose che ci tradiscono e ci consumano, che prima ci seducono e poi ci abbandonano, tutte le cose che non possiamo dire o che non dovevamo dire. Bono si sente messo all’angolo mentre parla con sé stesso (l’innocenza e l’esperienza qui si confrontano direttamente) come “il cacciatore che diventa preda” e ci apre il suo cuore al dolore e all’angoscia espresse nel finale di questa canzone.

“Sometimes I’m full of anger and grieving So far away from believeng That any sun will reappear […] / Sometimes When the painted glass shatters and you’re the only thing that matters But I can see you through the tears / Sometimes The end is not coming it’s not coming Te end is here Sometimes”.

Pieni di rabbia e di lutto e avvolti da una notte profonda che minaccia di non vedere più sorgere il sole: è così che ci si sente a volte.
Mentre pezzi di vetro esplodono e non si riesce a vedere la fine, perché la fine è già arrivata, The Edge, Adam e Larry iniziano la loro cavalcata strumentale per il climax finale di questa canzone.
La fine è già qui, a volte. Poi all’improvviso tutti si ferma, sospeso, offrendo un’ultima nota di speranza.
The Little Things That Give You Away è straordinaria, non esagero nel considerla già tra i capolavori degli U2. Ha la stessa potenza drammatica di Love Is Blindness e la forza vitale della prima Mercy.

Photo by © Anton Corbijn

Landlady | Produzione di: Jacknife Lee Produzione originale di: Ryan Tedder Produzione aggiuntiva di: Andy Barlow

La decima traccia di questo album è una nuova dichiarazione d’amore, matura e consapevole, di Bono per sua moglie Ali. La chitarra all’inizio riprende in piccola parte Raised By Wolves mentre il testo va a rispondere a tutti i dubbi di Every Breaking Wave.
Il contesto della prima scena è molto casalingo e vede il nostro frontman tornare a casa dopo un tour. La melodia è dolce e malinconica che quasi fa male senza essere melensa.

“The landlady takes me up in the air I go, I go where I would not dare […] And I’ll never know Never know what starving poets meant ‘Cause when I was broke It was you that always paid the rent”.

Alison è la vera padrona di casa che ha sempre badato a tutto durante le lunghe assenze di Bono.
Lei è la sua sicurezza e la sua ancora in ogni momento di smarrimento.
L’arrangiamento dolce ed elegante anche qui si “apre” totalmente nella parte finale insieme al cuore di Bono, ed è difficile resistere alla commozione perché dopo tutti questi anni le parole per la moglie sono sempre qualcosa di incredibile:

“Every wave that broke me Every song that wrote me Every dawn that woke me Was to get me home to you, see / Every soul that left me Every heart that kept me The strangers that protected me To bring me back to you / Every magic potion Every false emotion How unswerving our devotion To the lies we know are almost true / Every sweet confusion Every grand illusion I will win and call it losing If the prize is not for you”.

The Blackout | Produzione di: Jacknife Lee Produzione originale di: Ryan Tedder Produzione aggiuntiva di: Brent Kutzle

La traccia numero undici di Songs Of Experience è stata la prima ad essere presentata al pubblico ed è quella che più si avvicina al sound anni ’90 della band.
Anche in questo caso c’è un mio approfondimento fatto quando gli U2 ne pubblicarono il video e lo trovate qui The Blackout: prime impressioni

Love Is Bigger Than Anything In Its Way | Produzione di: Jacknife Lee

Questa canzone è la lettera che Bono ha scritto per i suoi figli, ma a mio parere emerge una buona dose di autocritica nei confronti di sè stesso. Anche qui il contesto è molto casalingo, visto che viene citata Killiney (dove vive il cantante con la famiglia), e proviamo ad  immaginare la scena visiva di Bono-padre mentre passeggia una sera con i suoi figli.
La canzone è quella più vicina al sound degli anni 2000 della band ed è un grande inno pop e corale.
Alcuni dei ragazzi sono già passati dall’età dell’innocenza a quella dell’esperienza, ma l’età porta consapevolezza ed i consigli di un padre non finiscono mai. Bono si è accorto ormai che è arrivato il momento in cui i suoi figli devono prendere in mano le redini delle loro vite, e lui da genitore non farà mancare mai loro il suo sostegno: nonostante tutto l’amore è più grande di qualsiasi cosa esso trovi sulla sua via.

“The door is open to go through If I could I would come too But the path is made by you As you’re walking, start singing and stop talking / Oh If I could hear myself when I say Oh Love is bigger than anything in its way”.

Non manca l’autocritica dicevamo, perché Bono scrive: “Se riuscissi ad ascoltare me stesso quando dico che l’amore è più grande di ogni cosa” quasi come se in qualche modo non riuscisse più a sentire pienamente la sua voce interiore: è vero che l’età che avanza porta consapevolezza ma può far anche vacillare alcune certezze.

“If the moonlight caught you crying on Killiney Bay Oh sing your song, let your song be sung If you listen you can hear the silence say When you think you’re done, you’ve just begun”

I versi sopra citati rappresentano un’esortazione per i figli ma anche per sè stesso. Ogni volta che sembra ci sia una fine è solo perché dopo ci sarà anche un nuovo inizio.

13 (There Is A Light) | Produzione di: Ryan Tedder e Paul Epworth

La chiusura dell’album è affidata ad un numero molto insolito per gli U2. Nessun album ha mai presentato una tracklist di tredici canzoni. Qui ci viene incontro la numerologia e per il seguente spunto ringrazio Barbara Marinello:

“Il numero Tredici indica la rottura dell’armonia, incarnando il disordine. Infatti, è il numero che con l’aggiunta di una unita al Dodici, interrompe la ciclicità, obbligando ad una trasformazione radicale.
Il significato del numero Tredici può essere inteso sia in senso positivo che negativo: infatti, il Tredici, è numero detto aritmico che rompendo la legge dell’equilibrio e della continuità. Il 13 indica, quindi, un cambiamento drastico che può essere sia in positivo che in negativo, così come la morte va interpretata come morte alchemica, morire a se stessi per poi rinascere, come nei riti iniziatici.”

Il mio amico e collega Gabriel Cillepi su U2 Breathe propone un’altra interpretazione, visto che un’altro brano degli U2 ha come un titolo un numero, e quel numero è 40 ed è uno dei Salmi. Vede appunto il brano che chiude Songs of Experience  ispirato dal Salmo 13 dove l’uomo invoca Dio in punto di morte.
Lascio a lui ulteriori pensieri ed analisi.

Questa canzone prosegue nell’esortazioni ai figli della canzone precedente ed è una sorta di “testamento” di Bono. È la sorella oscura, malinconica e consapevole di Song For Someone di cui condivide alcuni fondamentali, come vedremo, versi.
È un mondo ingiusto e crudele che divora l’innocenza durante il passaggio all’esperienza e Bono vuole esortare i figli a mantenere “il bambino dentro di loro” perché forse lui non ci è riuscito completamente.
“And if the terrors of the night come creeping into your days and the world comes, stealing children from your room Guard your innocence From hallucination and know that darkness always gathers around the light”. Come possiamo vedere torna il tema della luce e dell’oscurità come in Song For Someone.

“When all you’ve left is leaving And all you got is grieving And all you know is needing / If there is a light you can’t always see If there is a world we can’t always be It there is a dark that we shouldn’t doubt And there is a light, don’t let it go out / ‘Cause this is a song A song for someone Someone like me”.

Ecco qui il punto di svolta. La canzone é per qualcuno, qualcuno come lui, qualcuno come Bono, qualcuno che sente che qualcosa sta per cedere.
La paura della morte forse ha reso Bono più dubbioso sulle sue azioni, e buone intenzioni, da uomo e da frontman degli U2.
La chiusura della canzone è dedicata a lui stesso, ai figli, ad Ali, a The Edge, Adam e Larry, a noi fan, a tutti gli uomini.

“I know the world is done But you don’t have to be I’ve got a question for the child in you before it leaves Are you tough enough to be kind? Do you know your heart has its own mind? Darkness gathers around the light Hold on / There is a light you can’t always see If there is a world we can’t always be It there is a dark that we shouldn’t doubt And there is a light, don’t let it go out / ‘Cause this is a song A song for someone Someone like me”.

Il mondo può anche essere finito ma non dobbiamo esserlo noi. Dobbiamo mantenere “il bambino dentro di noi” prima che vada via, ci vogliono le spalle molto larghe per mantenere anche la gentilezza nel nostro cuore che ha un modo di ragionare tutto suo.
La luce è circondata dall’oscurità ma c’è. Ci sarà sempre.
E noi dobbiamo mantenerla viva perché quella luce è la speranza ed essa non può e non deve morire. Mai.

Questo album segnato dalla malinconia e dalla nostalgia si chiude con un chiaroscuro, con la lotta tra la luce e l’oscurità; una lotta di cui non conosciamo l’esito. Noi sappiamo solo che dobbiamo schierarci dalla parte della luce.
Tutti i discorsi e tutte le tematiche si concentrano alla fine nel destino del singolo uomo.
13 (There Is a Light) è una canzone intima e riflessiva ma con un’anima oscura. La dolcezza del piano si contrappone alla “sirena” che sentiamo durante i ritornelli mentre Adam e Larry provvedono al battito cardiaco della canzone che si innalza alla fine grazie a dei cori angelici.
È un pezzo che trova la sua collocazione nel crepuscolo o durante un’alba che fatica a farsi strade tra le nuvole di un cielo grigio come l’acciaio.

Questa canzone sottolinea ancora di più il ruolo da protagonisti dei figli e delle nuove generazioni come sottolinea anche la copertina dell’album.
In Songs Of Innocence abbiamo Larry che abbraccia suo figlio Aaron che è la metafora del genitore che protegge l’innocenza; in Songs Of Experience abbiamo Elijah e Sian che sono nell’età del passaggio da innocenza ad esperienza e si tengono per mano. I genitori ci sono ancora ma la direzione delle loro vite sono loro a doverla decidere.

Bonus tracks:

Ordinary Love (Extraordinary Mix) è un mix alternativo della canzone che conosciamo molto bene. Il pezzo si presenta più veloce della versione base e con nuove linee di chitarra molto interessanti.
| Produzione di: Danger Mouse e Paul Epworth Produzione aggiuntiva di Declan Gaffney

Lights Of Home (St Peter’s String Version) è la versione alternativa della seconda traccia dell’album. Presenta una grande sezioni di archi che ricorda Burn The Witch dei Radiohead e conferisce alla parte iniziale della canzone un’atmosfera da colonna sonora da film d’azione.
| Produzione di: Ryan Tedder, Jacknife Lee e Brent Kutzle Produzione aggiuntiva di: Jolyon Thomas

Book Of Your Heart è una perla. La parte iniziale della canzone ricorda i The National con Bono che canta su toni più bassi. Il sound è incredibile e c’è chi ipotizza che questa canzone sia il “ponte” con il futuro Songs Of Ascent (se le voci riguardanti una trilogia di “Songs of...” nei piani della band saranno confermate).
Nel finale il climax ricorda Fast Cars con una virata verso Babe I’m Gonna Leave You dei Led Zeppelin. Il cantato di Bono, che in tutto l’album si attesta su un ottimo livello, qui raggiunge vette molto più alte.
Il testo è un gioiello di saggezza e consapevolezza:

“Ask the leaf and ask the bird not to sing or speak a word We are not fictitious characters But we don’t belong to this world” e ancora, citando Gone, You can change your name, or even who you are That’s the beauty of the scar That is the contract of the heart This is our wedding day This is the promise that we’ll stay through the long descriptive passages Where we don’t know what to say” fino ad arrivare alla perla finale, spiazzante per la sua rassegnata consapevolezza:Babe I don’t belong to you Love is what we choose to do Babe you don’t belong to me It’s not that easy”.

| Produzione di: Andy Barlow

Photo by © Anton Corbijn

Conclusione.

Ci dobbiamo ricollegare all’Introduction to Songs of Experience di Blake. Bono è il Bardo che vede passato, presente e futuro: è primo attore e contemporaneamente narratore.
Nell’idea di Blake il Bardo doveva svolgere una funzione profetica per rivolgere un appello alla Terra; conoscendo la Parola Santa può provare a destare la Terra dal suo torpore.
L’appello alla Terra può essere inteso come un invito a risvegliarsi grazie alla propria innocenza.
Questa tematica può coincidere oggi con la figura artistica del frontman che, grazie al suo carisma e alle sue parole, può provare a far prendere coscienza al pubblico di molte tematiche.
Anche qui possiamo leggere una sottile delusione nella voce di Bono, che da sempre si è battuto per provare a cambiare alcuni aspetti del mondo; un mondo che sembra sempre più quello del Gattopardo dove tutto cambia affinchè nulla cambi.

Songs of Experience è un viaggio, iniziato con Songs of Innocence, dentro l’animo umano, che ci obbliga a guardare dentro di noi, nel profondo, e ci obbliga a rivolgerci alcune domande in bilico tra luci ed ombre.
Grazie a questo album abbiamo capito che il contrario di morte non è vita ma è amore.

“And this is a song
A song for someone
Someone like me.”


Jacopo D’Ipolito

Foto in evidenza | via © Amazon Music

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