U2 The Joshua Tree Tour 2019

Setlist, articoli, video e foto del tour degli U2 in Oceania e Asia del 2019

Approfondimenti

Articoli che analizzano e raccontano la band, un tour, un progetto musicale extra U2, una collaborazione con altri artisti dal vivo, una canzone, una tematica, un album, e il pensiero dei fan

Songs of Experience

Tutte le notizie sull'album degli U2 pubblicato il primo dicembre 2017

U2 Experience + Innocence Tour

Setlist. articoli, video e foto del tour a supporto di Songs of Experience

Extra

Articoli su tutto quello che riguarda gli U2 NON a livello musicale (attivismo, ONE, (RED), impegno nel sociale, vita privata)

Home » Approfondimenti, Speciale The Edge

Speciale The Edge: The Joshua Tree (1986 – 1987)

Inserito da on marzo 9 – 12:49 | 757 visite

Alla fine del The Unforgettable Fire Tour gli U2 avevano, come alla fine di ogni tour, qualche abbozzo di canzone partorita nei lunghi soundcheck pre concerto; abbozzi che proprio non riuscivano a trasformare in canzoni, e, a dirla tutta, subito dopo quel tour mancava anche una vera e propria direzione artistica da seguire.

Ciò che delineò il futuro album della band furono sostanzialmente tre fatti di notevole importanza: il viaggio in Etiopia di Bono assieme alla moglie e la sua conseguente partecipazione al singolo anti Apartheid “(We Ain’t Gonna Play) Sun City” che posero l’attenzione del cantante sui rapporti di potere tra l’America e l’Africa; l’incontro tra Bono e i Rolling Stones, in particolare con Mick Jagger e Keith Richards, i quali prima gli fecero capire quanto la musica degli U2 non avesse tradizione, e poi gli instillarono un profondo amore per il blues, il country e il gospel americano; infine un nuovo approccio “cinematografico” alla composizione di The Edge grazie a Michael Brook, il quale diventerà l’approccio su cui si baserà tutto il futuro The Joshua Tree.

Cosa hanno in comune queste tre situazioni? l’America: la sua politica, la sua musica, i suoi paesaggi, le sue contraddizioni; da qui parte l’idea di fondo di questo capolavoro, rendere tributo alla musica americana evidenziandone le contraddizioni e i lati oscuri in termini di politica, il tutto con un approccio musicale “cinematografico” in grado di ricreare perfettamente paesaggi, situazioni ed emozioni sia individuali che collettive.

Ecco che l’approccio musicale ambient di Brian Eno in The Joshua Tree combacia pienamente con le intenzioni della band, e trova forse quella coerenza che era mancata a The Unforgettable Fire; non ci sono più parziali ritorni alle sonorità post punk della band dei primi anni 80, ogni canzone viene levigata e non vi è nulla fuori posto: la chitarra in particolare torna a farla da padrona con riff e arpeggi in delay, entrati nella storia della musica rock e pop trovando soluzioni mai banali e diverse da canzone a canzone.

Si passa dagli arpeggi ipnotici in delay ad ottavo puntato in Where The Streets Have No Name e I Still Haven’t Found What I’m Looking For, all’infinite guitar utilizzata nella prima parte di With Or Without You, fino alle distorsioni di Bullet The Blue Sky ed Exit. Per la realizzazione di The Joshua Tree The Edge si affida ancora una volta alla coppiata Vox AC30/Fender Stratocaster per la maggior parte delle canzoni, anche se per la prima volta sentiamo vere e proprie distorsioni provocate presumibilmente dal Tubescreamer TS808 della Ibanez. Inoltre si segnala l’utilizzo di una Gibson Les Paul Custom in Exit e In God’s Country.

Where The Streets Have No Name
L’opening track è un manifesto: parte con un fade in di un suono inizialmente ovattato ma che poi si apre in una sequenza d’archi epica creata probabilmente da Brian Eno al sintetizzatore. Dopo quaranta secondi ecco che fa capolino un’arpeggio di chitarra in fade in caratterizzato dall’utilizzo di un doppio delay su due amplificatori miscelati assieme: a destra il delay a 3/16 classico a sinistra il delay a 9/32 (tecnica già usata in Bad e Indian Summer Sky). La scansione del tempo, come ci mostra The Edge nel video sotto riportato estratto da It Might Get Loud al minuto 5:20 circa, può essere interpretato sia come un 6/4 che come gruppi di terzine. L’arpeggio si trasforma in una ritmica che si protrae lungo tutta la strofa, cambia nel ritornello dove la ritmica varia incontrando accordi sospesi e rivolti sempre sulla scala di RE maggiore. Sicuramente la difficoltà della canzone sta nel mantenere a tempo la mano destra, che per tutta la sua durata tiene il ritmo ad una velocità sostenuta (125 bpm). Per quanto riguarda gli altri strumenti la batteria esegue anche essa una ritmica sostenuta ed incalzante per tutta la canzone assieme al basso che si limita a seguire la cavalcata con le toniche.

I Still Haven’t Found What I’m Looking For
Torna il tema della religione e della fede nella seconda canzone di The Joshua Tree, che diventerà una tra le canzoni più famose della band. Inizia con una ritmica di batteria a cui si aggancia un mix di chitarre, in cui si distingue bene una chitarra acustica che esegue gli accordi di base e l’arpeggio in delay (anche qui eseguito con la tecnica dei due delay in stereo). Da un punto di vista tecnico potrebbe sembrare una canzone abbastanza semplice, tuttavia il mix finale della canzone presenta, come già accennato, più tracce di chitarra, alcune delle quali molto basse; nel documentario dedicato a questo album, Bono e Flood analizzano molto bene il mixing della canzone, andando a svelare proprio alcune tracce singole di chitarra che non si notano a primo ascolto: notiamo oltre alla traccia di chitarra acustica e la traccia portante con l’arpeggio anche una traccia “robotica“, creata con un pedale tremolo udibile con attenzione e addirittura una traccia non finita nel mix finale suonata con quello che sembra essere un E-Bow. Basandoci sulla chitarra portante in arpeggio, non si notano particolari variazioni; nella strofa varia solo la tonica che passa dal DO# al FA#, mentre nel ritornello cambia appena lo schema dell’arpeggio sul cambio note (SOL# FA# DO#): la vera variazione avviene nel bridge dopo il secondo ritornello.

With Or Without You
Probabilmente il brano più famoso degli U2 era inizialmente destinato ad essere cestinato: infatti nelle prime sessioni di composizioni presso la Danesmoate House, prima del Conspiracy of Hope Tour, una bozza iniziale della canzone composta da una sequenza ciclica di accordi di Bono non riusciva ad ispirare gli altri membri ad aggiungere i propri strumenti. Così la band cercò degli approcci alternativi per poter rivitalizzare la demo: infatti con l’ausilio di una batteria elettronica venne costruito quel famoso giro di basso “pieno e potente” che tutti oggi possiamo sentire. A quel punto The Edge non riusciva a trovare un arrangiamento soddisfacente per quella canzone, finché non gli venne spedita da Michael Brook il primo prototipo di una infinite guitar, ovvero una chitarra con dei pickup particolari che gli consentivano di mantenere il suono di una nota all’infinito (sostanzialmente è lo stesso concetto dell’E-Bow solo che è applicato direttamente all’interno della chitarra). E fu proprio nel momento in cui The Edge stava improvvisando con questo nuovo strumento sopra la base della demo di With Or Without You, che Bono e Gavin Friday capirono che proprio l’impiego di questo particolare effetto serviva a creare il giusto arrangiamento per la canzone. Infine, ciò che caratterizzò definitivamente questo brano è ancora una volta il tappeto di tastiere e arpeggiatore di Brian Eno, sfruttando un espediente simile a quello già sentito in Bad (synth pad in sottofondo e arpeggio di tastiera lungo tutta la canzone). La chitarra di The Edge poi si fa più classica quando Bono canta “And you give yourself away…” infatti ritorna l’arpeggio in delay ad ottavo puntato e gli armonici.

Bullet The Blue Sky
Il quarto brano di The Joshua Tree è probabilmente il brano che più di tutti, per via delle sue sonorità “heavy“, incarna quello spirito di protesta e di polemica contro la politica estera americana di Reagan di quegli anni. La canzone nasce durante le sessioni agli STS Studios in maniera totalmente casuale, durante il tentativo di The Edge di comporre qualcosa che però nella sua testa non funzionava. Fu proprio in quel momento che Adam Clayton e Larry Mullen si unirono a lui creando la base grezza di Bullet The Blue Sky. La canzone nel suo arrangiamento studio tuttavia, per quanto riguarda la chitarra, non risulta così immediata, difatti si possono udire diverse sovra incisioni per lo più di suoni feedback e di ambiente, rendendo di fatto ben distinguibili solo le parti funky in delay nelle strofe e le parti distorte in slide compreso l’assolo, il tutto eseguito con la solita Stratocaster e i Vox AC30. Sarà proprio per questo motivo che nelle seguenti epoche degli U2 a partire proprio dal The Joshua Tree Tour la canzone subirà diversi riarrangiamenti della chitarra, arricchendola di assoli più complessi, di effetti più o meno psichedelici e di fraseggi più coerenti con lo stile degli U2 adottato negli anni.

Running To Stand Still
Adam Clayton
nella biografia U2 By U2 ha definito questa canzone come “Bad part II“, come una sorta di sorella di Bad però più da “falò”. Se questo è vero, soprattutto per quanto riguarda le tematiche che trattano in entrambe le canzoni della dipendenza da eroina, non è altrettanto vero per quanto riguarda le sonorità. Mentre Bad è una canzone essenzialmente “chitarristica”, Running To Stand Still ruota intorno al pianoforte, e la chitarra è soltanto un accompagnamento in palm muting eseguita tra le altre cose da Daniel Lanois, come ci dimostra sempre nel documentario, e un accenno di chitarra classica slide ad inizio e fine canzone (verremo smentiti solo con lo ZooTV Tour, dove il pianoforte scomparirà per lasciar spazio unicamente alla chitarra). Come al solito oltre al pianoforte sono presenti numerose tracce di pad, che creano il solito tappeto sonoro onirico tipico di Brian Eno, e ciò può essere benissimo ascoltato al minuto 1:01 del documentario in cui vediamo The Edge metter mano alle tracce, presenti e non presenti, di tastiere nella versione finale della canzone.

Red Hill Mining Town
Gli U2 definirono questa canzone come “perduta”, per via della loro generale insoddisfazione riguardo a questa: un eccesso di produzione e forse un eccessiva mancanza di audacia li portò a realizzare un brano che non aveva una precisa direzione, e quindi non una vera e propria forma, cosi non venne nemmeno mai suonata live fino al 2017. E’ difficile immaginare cosa avessero in mente per questa canzone all’epoca, tuttavia si può immaginare che le difficoltà nel riprodurla live fossero legate innanzitutto all’estensione vocale della canzone, che avrebbe costretto Bono a sforzare parecchio la voce ,e poi al trovarne un adeguato arrangiamento per la chitarra. Difatti, nella versione studio sono presenti due chitarre ben distinte, che però svolgono due parti incastrate in modo tale che una non possa sussistere senza l’altra: la prima infatti esegue l’arpeggio pulito con un leggerissimo delay udibile per tutta la canzone, mentre la seconda esegue le toniche in maniera accentuata, usando una distorsione e andando a creare un dislivello di dinamica tra le due parti, rendendole quindi difficilmente indipendenti.

In God’s Country
Dopo averci fatto tenere alta la concentrazione per ben sei brani su sonorità complesse, tematiche sociali e personali delicate ed impegnate, arriviamo al dittico formato da In God’s Country e Trip Through Your Wires, che restituiscono un pò di leggerezza all’ascoltatore che si può rilassare con due canzoni “semplici e disinvolte” come le definisce Adam. The Edge torna prorompente alla chitarre (in questo brano suona ben tre chitarre: una acustica, la fidata Fender Stratocaster e la Gibson Les Paul Custom) e ritorna a suonare armonici e ritmiche graffianti in delay su accordi aperti, eseguiti un ottava alta nel tema e standard nei ritornelli alternandoli alle ghost notes nelle strofe, per mantenere il groove dato dal basso e dalla batteria.

Trip Through Your Wires
The Edge
in questa canzone, come anche in quella precedente, non fa particolare sfoggio di parti di chitarra complesse e articolate; semplicemente si limita ad eseguire gli accordi con un leggero delay (probabilmente con la solita Stratocaster) che accompagnano la canzone,.

One Tree Hill
Anche questa canzone, per via delle sonorità, prosegue il percorso di canzone immediata e leggera delle due precedenti. Tuttavia è solo una apparenza, perché il brano in questione ha come sfondo un lutto sofferto dagli U2 e dal loro staff, ovvero quello dell’assistente personale di Bono, Greg Carroll a cui verrà dedicato l’intero album. La canzone segue i dettami della canzone pop rock e folk, anche se si può avvertire l’attitudine blues sia nel cantato di Bono che nel modo di suonare di The Edge, che seppur suoni gli accordi in powerchord alti con il classico delay lo fa con una cadenza più swingata, introducendo qualche volta alcune note che nell’insieme della canzone richiamano per l’appunto il blues.

Exit
Le ultime due canzoni dell’album richiamano nuovamente l’attenzione dell’ascoltatore: Exit è una canzone oscura, cupa e a tratti inquietante soprattutto perché l’approccio di musica cinematografica si dimostrò perfettamente riuscito. Infatti la canzone racconta il punto di vista di un killer profeta inebriato dalle sue convinzioni nei momenti prima di commettere l’omicidio, e l’uso massiccio di effetti di ambiente ben collocati nel panning della traccia ci consentono un ascolto coinvolgente, che nella prima parte getta le basi con una chitarra classica che esegue qualche fraseggio e qualche armonico, fino all’inizio del climax dove possiamo sentire il suono grosso e incisivo della Les Paul eseguire un riff incalzante a delay ottavato sempre più presente, finché non esplode e diventa una ritmica in delay parecchio grezza e distorta, che nel suo salire continuamente di nota, in concomitanza allo sprigionamento di un leggero shimmer (soprattutto in live), rende perfettamente l’ascoltatore in grado di ricreare nel dettaglio la sequenza cantata da Bono con l’immaginazione. Il tutto si ripete fra sovraincisioni di suoni macabri e di chitarre processate, fino al finale che lascia letteralmente una sensazione di angoscia.

Mothers Of The Disappeared
Il brano che chiude l’album è un altro esempio perfettamente riuscito di musica cinematografica: volendo infatti rendere omaggio alle Madri di Plaza de Mayo gli U2 creano una base musicale che riesce benissimo a descrivere quel sentimento primitivo che lega una madre ad un figlio. Parte subito un loop di batteria pesantemente processata (pare che sia dovuto al PCM70 della Lexicon, un processore di effetti) che si protrae per tutta la canzone, su cui si sviluppa un tema di chitarra classica in delay molto dolce ma allo stesso tempo molto incisivo; tuttavia sono presenti una numerosa serie di sovraincisioni, che diventano più distinguibili nei ritornelli e negli strumentali: vi sono chitarre in shimmer, delay sfasati e parti di chitarra sovrapposte solo un ottava più alta.

Ulteriori approfondimenti sulla discografia di The Joshua TreeU2Songs Spettakolo.it Nostro approfondimento

Foto in evidenza © Anton Corbijn

Video © U2 & Damn Nation

Precedenti articoli della rubrica “Speciale The Edge“: Vi presentiamo la rubrica “Speciale The Edge” a cura di James Vignotto Speciale The Edge: 1976-1980 il periodo pre-Boy Speciale The Edge: Boy e il Boy Tour (1980-1981) Speciale The Edge: October e l’October Tour (1981-1982) Speciale The Edge: War e il War Tour (1982-1983) Speciale The Edge: The Unforgettable Fire e il The Unforgettable Fire Tour (1984-1985)

Tags: , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , ,

UA-23020968-1