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Nel nome della musica

Inserito da on giugno 15 – 09:00 | 736 visite

Mesi fa ho avuto una conversazione molto interessante con una persona più grande di me per età; l’argomento, tanto per cambaire erano gli U2. Premetto che si tratta di una persona che conosco molto bene, ma che non mi aveva mai parlato così prima d’ora. Sapevo che seguiva la band da quando era ragazzino, ma non ne conoscevo il motivo, nè potevo immaginare da quali sentimenti fosse spinto.

Ho iniziato ad ascoltare gli U2 sin dal primo album; ero completamente estasiato da quella musica e dalla voce di Bono. In casa mi guardavano come fossi un pazzo; i miei genitori si chiedevano da chi avessi preso quei gusti musicali tanto strani per loro. E poi avessi almeno scelto un gruppo che cantava in italiano! Loro non capivano e l’unica cosa che sapevano dirmi era di abbassare il volune dello stereo, perchè stavo disturbando i vicini. Ma più ascoltavo gli U2 e più mi sentivo libero di esprimermi, libero, pur dentro le mura di casa. Era una sensazione bellissima: ascoltavo Gloria decine di volte al giorno, quasi come se non riuscissi a smettere, fino a farmi venire la nausea. Poi sono cresciuto, enonostante ascoltassi altri cantanti e band, gli U2 non li ho mai persi di vista. Li ho seguiti album dopo album, fino ad arrivare al mio primo concerto, quello Zoo Tv Tour che ricordo come il più emozionante e il più scioccante per il palco e la scenografia assolutamente geniale. Hanno suonato a Torino a luglio del 1993 e ricordo di aver fatto i salti mortali per trovare quel biglietto, ma non potevo assolutamente mancare. Achtung Baby è un capolavoro ancora oggi, a vent’anni didistanza da quando è stato ultimato. Gli U2 avevano cambiato la propria immagine, Bono aveva occhiali da mosca e giubbotto di pelle e si atteggiava da rock star piena di sè e del suo successo. The Edge aveva messo in testa il cappellino di lana e cantava Numb mentre nel video si faceva mettere i piedi in faccia da donne affascinanti (immagino!). Larry ed Adam, forse sono rimasti un pò nell’ombra, ma i loro strumenti li hanno sempre suonati con precisione ed estrema bravura. Forse si facevano vedere poco, ma si sentivano molto bene. A quei tempi io lavoravo in birreria e la sera tardi, prima di andare a casa, mi fermavo a mangiare e a fare due chiacchiere con gli altri ragazzi del pub. Ho perso il conto di quante volte sono rimasto in rigoroso silenzio ad ascoltare One e a vedere il video in cui Bono è seduto in un locale a fumare e bere e, naturalmente, a cantare. Ho sempre pensato che quell’uomo avesse capito tutto della vita, che è stato fortunato ad arrivare dov’era, ma che senza la sua esperienza personale (la morte della madre), senza il suo talento e tre amici veri al suo fianco, oggi Paul Hewson sarebbe un’latra persona e non canterebbe.

Ecco in sintesi cosa significano per me gli U2. E cosa sono ancora oggi, nonostante abbia quarant’anni suonati e siano passati decenni da quel primo ascolto che mi ha fatto innamorare della loro musica. Ricordo lunghe file ai botteghini, l’ansia prima di entrare allo stadio per potermi assicurare un buon posto giù nel prato e godermi lo spettacolo. Ricordo me da ragazzino che racimolavo a fatica i soldi per comprare un disco per poi custodirlo gelosamente affinchè nessuno lo toccasse e ne rovinasse anche solo la copertina. Gli U2 erano il mio mondo, quello bello, quello virtuoso e perfetto. Sono sicuro che tu che scrivi sugli U2 avrai sentito altri racconti simili al mio; so di non essere l’unico a provare certi sentimenti. Il merito è di quei quattro irlandesi che vanno in giro facendosi chiamare U2″

Il mio interlocutore non ha voluto che rivelassi la sua identità. Rispetto la sua scelta ringraziandolo per avermi fatto capire molte cose.

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