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U2: un salto indietro nel passato?

Inserito da on aprile 2 – 20:02 | 764 visite

Un salto indietro nel passato, per riscoprire le origini della rock band più famosa del nostro tempo. Il 9 Marzo 1987 gli U2 pubblicarono il loro quinto album “The Joshua Tree” con Island Records. Prodotto da Brian Eno e Daniel Lanois, “The Joshua Tree” ha vinto il premio come album dell’anno alla cerimonia dei Grammy Award del 1988; ha debuttato al numero uno nelle classifiche inglesi e altrettanto rapidamente ha raggiunto i vertici delle charts americane. Il 3 Dicembre 2007, in occasione del ventesimo anniversario, “The Joshua Tree” è stato pubblicato in versione rimasterizzata in quattro differenti formati… Non sarà certo il primo né l’ultimo dei successi della band, ma sotto certi aspetti, questo album si può considerare come la “chiave” dell’innovativo percorso musicale degli U2.
Il concepimento di un successo internazionale
Prima di pubblicare “The Joshua Tree”, gli U2 avevano realizzato “The Unforgettable Fire”. Il 1984, anno di pubblicazione di “The Unforgettable Fire” è stato anche l’anno dell’incontro degli U2 con i produttori Brian Eno e Daniel Lanois – che ha cambiato enormemente la storia della band – con i quali si misero all’opera presso lo Slane Castle per la registrazione del nuovo album. È dalle atmosfere di “The Unforgettable Fire” che riparte la band per creare “The Joshua Tree”.
Flanagan scrive nella sua introduzione all’edizione del centenario, che con questo album la band raggiunse “la cima della montagna” e la sfruttò come luogo da cui poter costruire un trampolino di lancio. Gli U2 decisero di volgere la loro attenzione verso le radici della musica americana e cominciarono ad esplorare il blues, il country e il gospel; in quel periodo frequentavano le band irlandesi The Waterboys e Hothouse Flowers e intuirono una sorta di musica irlandese indigena mescolata con il folk americano. In questa ricerca delle alle radici del rock influenzata anche dall’amicizia con Bob Dylan, Van Morrison e Keith Richards, Bono da prova del suo talento di autore di testi e canzoni.
Bono afferma che “smantellare la mitologia dell’America” rappresenta una parte importante dell’obiettivo artistico di “The Joshua Tree”. Nell’album si contrappongono, così, l’antipatia verso gli Stati Uniti ed il rancore nei confronti della politica estera degli USA e dell’amministrazione Reagan in America Centrale, al fascino profondo che la campagna americana esercita sul gruppo, coi suoi spazi immensi e la libertà che essi rappresentano. Secondo Bono, l’album è ispirato e influenzato “più dalla geografia che dalla gente”. La musica e le parole, inoltre, sono disegnate sull’immaginario creato dagli scrittori americani che gli U2 avevano letto. «I primi tre singoli tratti dall’album hanno tutti titoli che suonano come battute che John Wayne avrebbe potuto dire in un film di John Ford, rimandando all’idea di viaggio» scrive ancora Flanagan nella prefazione.
Le radici di questo “albero di Giosuè”? Sono tutte nel blues Where the Streets Have No Name apre l’album. Il brano è stato ispirato dal viaggio in Etiopia che Bono compì assieme alla moglie in seguito al Live Aid del 13 Luglio 1985, concerto che raccoglie tutti i più grandi artisti mondiali su 2 palchi a Londra e Filadelfia e che vedendo partecipare per la prima volta gli U2 ne definì la consacrazione. Il titolo del brano venne spiegato dallo stesso Bono in un’intervista: «Una storia interessante che mi raccontarono una volta è che a Belfast, a seconda della via dove qualcuno abita si può stabilire, non solo la sua religione ma anche quanti soldi guadagna: addirittura ci si basa sul lato della strada in cui vive, perché più si risale la collina, più le case sono costose. Questo mi disse qualcosa, e così cominciai a scrivere di un posto dove le vie non hanno nome.»
Non distante dalla precedente, l’atmosfera di I Still Haven’t Found What I’m Looking For. Un arrangiamento particolare conferisce drammaticità al pezzo: si tratta di un blues di sedici battute ed è forse questa progressione a garantire un senso del tempo che si ripete all’infinito. La melodia interpretata da Bono è affiancata ancora dai riff della chitarra elettrica mentre le sovra-incisioni di voci armonizzano quella principale come in un gospel; la batteria è accompagnata dai cimbali ed a metà brano entra a rafforzare la base di riff anche la chitarra acustica, protagonista di una parte strumentale. Importante l’amplificazione del suono dai forti richiami psichedelici e la timbrica graffiante della voce di Bono che trascina l’ascoltatore nel suo mondo in un’interpretazione lirica. Il testo pare riferirsi all’interrogativo sulla difficoltà da parte del credente di mantenere salda la sua fede in Dio; come in uno spiritual, si chiede la liberazione dal dolore, una soluzione alle problematiche del presente e non sembra un caso che si sia scelto un blues per questo “appello”, nel tentativo di esorcizzare quei “demoni” che si agitano nell’animo del protagonista del brano.
With or Without You, probabilmente la canzone più celebre degli U2, è una ballata dal duplice significato: si parla della fine dolorosa di una storia d’amore ma anche qui c’è una riflessione sulla religione. La voce di Bono in più momenti è modulata su toni bassi e sospirati come in una meditazione interiore, mentre negli acuti – ai quali si affianca un accompagnamento strumentale più ricco, per ottenere un crescendo emozionale – si trasforma in un lamento accorato e potremmo rintracciare le origini più profonde di quel “Ooh ooh ooh ooh…” del coro, nei ring-shout, quelle grida che furono le prime forme espressive degli schiavi, antenate dello spiritual vero e proprio.
L’album si chiude con Mothers of the Disappeared, dedicata alle Madri di Plaza de Mayo. Bono pensò a questo pezzo in occasione di una visita in Nicaragua e in El Salvador durante la guerra civile. Le atmosfere che caratterizzano il brano sono più cupe, l’incedere è lento e solenne, le lunghe parti strumentali lasciano meditare.
I still haven’t found…

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Fonte | Net1news

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