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Tra sogno e realtà

Inserito da on dicembre 9 – 09:00 | 572 visite

Era l’Agosto del 2010 quando, durante una “tranquilla” mattina di lavoro sentii della musica provenire dallo stadio di Torino, a pochissime centinaia di metri di distanza da dove mi trovavo. Mi sembrava di avere  allucinazioni sonore, di stare a sognare ad orecchie aperte mentre qualcosa di incredibile stava accadendo lì fuori. Era esattamente la voce di Bono quella che stavo ascoltando; mentre lui cantava “Beautiful Day“, io pensavo che era davvero il giorno più bello della mia vita, quello che avrebbe dato inizio ad un’intensa settimana di prove generali prima del concerto di venerdì 6 Agosto che avrebbe lanciato il tour mondiale della band. Per una volta mi sentivo privilegiata; non solo gli U2 provavano nella mia città, ma io lavoravo praticamente accanto a loro e giorno dopo giorno vivevo le trasformazioni che il quartiere subiva grazie al potere indiscusso della musica. Il mastodontico palco fu costruito in brevissimo tempo; quella struttura che rappresentava un artiglio sembrava avere in pugno lo stadio e tutti noi che ci aggiravamo da quelle parti alla ricerca di un tecnico, di un operaio o di chiunque ci desse notizie su quei quattro irlandesi che stavamo ospitando e che stravolgevano ora dopo ora le nostre abitudini. “The Claw” era talmente grande che in confronto lo stadio sembrava una pulce che cercava di tenere tra le sue braccia un elefante; impresa titanica oserei dire. Ma a me piaceva quell’immagine; mi piaceva l’idea che, per la prima volta, per ascoltare buona musica non dovessi per forza essere chiusa in auto con un cd a tutto volume e con i finestrini chiusi per non farmi sentire; ma era sufficiente svolgere il mio lavoro e sentire dal vivo la voce di Bono. Per la prima volta nella mia vita non dovevo essere io ad andare alla ricerca degli U2 perchè quel mio desiderio ardente di essere accanto a loro si stava avverando. Mentre io non stavo nella pelle, qualcuno era quasi infastidito da quel “rumore”, da un suono assordante che riempiva l’aria di qualcosa di nuovo, di talmente diverso da esserne quasi irritati. Erano le persone meno giovani quello meno tolleranti, ma forse molte di loro avevano dimenticato che ai tempi della guerra sognavano di sentire un pò di musica piuttosto che il suono di morte dei bombordamenti e delle sirene che avvisavano di scappare al riparo per sopravvivere. “Erano tempi duri”, mi dicono ancora adesso quando si fermano a chiaccherare con me; quasi a sottolineare la loro tenacia, lo spirito di sacrificio ed anche un pizzico di fortuna che li aveva tenuti in vita fino ad una rispettabilissima età. Ma chi non tollerava quel rumore era in netta minoranza; sempre più fan, infatti, affollavano le strade del circondario sera dopo sera e si fermavano fuori dai cancelli dello stadio in attesa di incontrare i loro cantanti, di scattare una foto, e, nelle migliori delle ipotesi, avere un autografo.

A distanza di un anno e mezzo, ripenso a quell’esperienza quasi come ad un miracolo, a qualcosa che non avrei mai potuto programmare allo stesso modo e che non avrebbe potuto rendermi più soddisfatta per come era andata. E’ stata pura curiosità quella che mi ha portata ad avvicinarmi a Via Filadelfia, quando finito di lavorare, ho vinto la stanchezza ed ho aspettato per ore che qualcuno di famoso uscisse da quel cancello. Se non fosse stato per la presenza di persone amiche, dopo neanche mezz’ora sarei andata a casa e mi sarei “accontentata” di sentire un paio di canzoni provate sul momento. Ma si stava creando poco alla volta un feeling particolare con gli altri U2isti da rendere meno pesante l’attesa, sebbene fino all’ultimo non sapevamo cosa o chi stavamo attendendo. Per fortuna la nostra determinazione venne premiata: Adam fu il primo a vedere; nei suoi pantaloni di lino e la maglietta aderente mi aveva dato l’impressione di essere un uomo molto gentile, sempre con il sorriso sulle labbra e disponibile a stare tra noi per firmare autografi. Edge uscì la seconda sera, ma io non feci in tempo ad incontrarlo perchè la stanchezza aveva preso il sopravvento. Chi era riuscito a vederlo mi ha raccontato che non aveva firmato autografi, quasi per non rischiare accidentalmente di farsi fare alla mano fondamentale per la riuscita del concerto. Il 3 Agosto fu il turno di Bono, e quell’occasione non me la persi. Quasi non riuscivo a credere di averlo di fronte a me e che stava firmando un autografo sulla copertina del mio “All That You Can’t Leave Behind“. Non ricordo molto dei momenti successivi, ma ho ben fissa in mente la sensazione che ho provato il giorno dopo, quando camminando per andare al lavoro mi sembrava di essere a metri da terra; mi muovevo portando nella borsa quella copertina su cui Bono poche ora prima aveva scritto il suo nome e mi sentivo una persona migliore. Potere della musica, direi, felicità che si prova quando si avvera un sogno, quando realizzi che tutto ciò in cui credi non è pura fantasia e che quel fuoco che senti dentro ha ragione di esistere grazie a chi ha saputo trasformare in canzoni la parte più irrazionale di noi.

 

 

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