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Il Fatto Quotidiano attacca gli U2

Inserito da on agosto 22 – 10:17 5 Comments | 3.391 visite

Stamane siamo venuti a conoscenza di un articolo scritto da Andrea Scanzi per IlFattoQuotidiano.it dal titolo: ‘U2, che poco di Bono’. Nell’articolo vengono attaccati gli U2 ed in particolare Bono. Il testo è molto diretto e senza troppi veli va a colpire gli anni di gloria (cosa che per noi non sono ancora finiti visti i risultati del Tour 360°), le vocalità di Bono e altro. Ci sembra giusto e doveroso riportare questo articolo e condividerlo con tutti voi ma allo stesso tempo ce ne discostiamo. A fine articolo vi invitiamo a commentare questo testo per conoscere le vostre opinione in merito. Inoltre per chi volesse approfondire è stato aperto un topic nel 360GRADIZONE nella sezione // THE FLY (Curiosità dal web!)

21 agosto 2011

U2, che poco di Bono

Esistono fuochi indimenticabili, mai però eterni. Prima o poi si spengono. E l’incendiario diventa pompiere. Nessuno, nella musica, incarna questa involuzione piccolo borghese come Bono Vox. Cosa è successo al leader degli U2, alla voce salva degli Anni Ottanta? Dov’è finito il divo tascabile che si tuffava sul pubblico al Live Aid, cantando di domeniche sanguinose e Martin Luther King, desaparecidos e strade senza nome?

Paul Hewson, cioè Bono Vox, nome ispirato a un negozio di cornetti acustici, ha 51 anni. Capelli corti, occhiali che in confronto Venditti è sobrio, qualche malanno (a maggio è stato operato per problemi al nervo sciatico). Voce ormai lontana dai tempi d’oro, quando ogni suo cinguettio – fosse anche palesemente narciso – si rivelava funzionale alle trame sonore, al messaggio, all’impatto.

Quando Bono era Bono, persino ostentazione e tamarraggine di capelli lunghi e pantaloni in pelle risultavano necessari. Erano gli U2, gli irlandesi ribelli, i romantici non mielosi: tutto gli era concesso. Ancor più dopo Achtung Baby, gemma che festeggia 20 anni e non ha perso un’oncia della sua rifulgente bellezza. Tempi lontani, com’è naturale che sia per un gruppo attivo da 35 anni. Il minimo che può accaderti è che da The Unforgettable Fire – il fuoco indimenticabile dell’84 – a oggi, sia rimasto giusto qualche cerino bagnato.

Ligabue, che a inizio carriera rimpolpava il repertorio con le loro canzoni, cita Bono quale esempio di vecchiaia felice per i rocker. La sua ulteriore maniera di ripetere che non devi per forza crepare a 27 anni per consegnarti alla leggenda. Ha ragione. Dimentica però – e non è escluso che la smemoratezza derivi dal rendersi conto di somigliargli – che Bono vive ancora in mezzo a noi. Ma non lotta più. In compenso si arricchisce. Tanto. E qualcuno, nel suo piccolo, si indigna.

Lo scorso 24 giugno, durante il concerto di Glastonbury, gli attivisti di Art Uncut hanno ricordato alla band come suoni ipocrita combattere contro la povertà e, al tempo stesso, non pagare le tasse in Irlanda. La U2 Limited, che gestisce parte del patrimonio, è stata infatti dirottata nei più “ospitali” Paesi Bassi. Mercoledì scorso si è poi saputo che Bono, tramite la Elevation Partners, aveva investito 200 milioni di dollari per acquistare una quota azionaria di Facebook. Questa mossa gli ha regalato 800 milioni di dollari di profitto.

Un anno fa, Bono era stato definito “il peggior investitore in America” da un blog di finanza: se non altro, almeno come speculatore è migliorato. Mister Hewson è prima un quasi-politico e poi, molto poi, un rocker (afono). Dal 1999 fa parte di Jubilee 2000, che si batte perché i grandi (?) del mondo azzerino i debiti dei Paesi del Terzo Mondo. Ha incontrato Lula, Berlusconi, Bush Jr. Ogni volta, addobbato come un cowboy daltonico, esibiva il sorriso di chi salverà il mondo in favore di telecamera. Nel frattempo la musica è scomparsa. Non le vendite, tuttora notevoli e figlie di un serbatoio emotivo smisurato (sì, la nostalgia).

C’è poco o nulla da salvare nella elettronica chemical-kitsch di Pop (1997) e nelle meringhe diabetiche di All That You Can’t Leave Behind (2000) e How To Dismantle An Atomic Bomb (2004). Qualche segnale di ripresa era arrivato con No Line On The Horizon, uscito due anni fa ma di fatto già dimenticato. Non puoi chiedere a un rivoluzionario di reiterare ad libitum la sua iconoclastia, ma nel caso degli U2 – oltre alla legittima consunzione di idee – c’è un perdurante annacquamento, al cui confronto perfino il baronetto furbino Paul McCartney sembra Che Guevara.

Ci si potrebbe divertire – si fa per dire – a trovare il giorno in cui tutto finì. Quando i bambini imbronciati in copertina, gli alberi di Giosuè, i riferimenti biblici, i pellegrinaggi a Graceland, le Bad dilatate a 15 minuti, Macphisto, gli sberleffi a McDonald’s e i live sotto un cielo rosso sarebbero divenuti fuochi (mai fatui) di un passato irripetibile. Quel giorno, forse, cadde a metà 1993. L’anno di Zooropa, nato come “scarto” di Achtung Baby e meritevole di rivalutazione (visto quel che è arrivato dopo).

L’ultima foto degli U2 da vivi è nascosta dentro l’ultima canzone. Si intitola The Wanderer, “Il vagabondo”. È una sorta di brano post-apocalittico e la canta Johnny Cash. Gli U2 vollero rendere un tributo a una leggenda in difficoltà. Un bel gesto, che parve somigliare all’ultimo saluto all’Uomo in Nero. Accadde il contrario. Dopo quella canzone, Cash convogliò inspiegabilmente le ultime forze e si congedò con la saga straziante delle American Recordings. Album così belli che quasi non ce la fai ad ascoltarli, in grado di scorticare coscienze e cuori. E gli U2? Erano sulla cresta dell’onda. Avevano una lunga strada davanti. O forse era solo un grande futuro dietro le spalle.

Il Fatto Quotidiano, 20 agosto 2011

tratto da: IlFattoQuotidiano.it

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